Comunicato stampa dell’Associazione
Con il presente comunicato la nostra Associazione desidera esprimere con chiarezza la propria posizione e la propria preoccupazione rispetto agli sviluppi normativi e comunicativi che interessano oggi il tema dell’immigrazione, del diritto all’asilo e alla mobilità.
Riflettere è per noi strumento fondamentale per ridimensionare l’impatto ansiogeno del discorso sull’immigrazione e la sua supposta emergenza e al contempo riaffermare il pieno sostegno al diritto di ogni persona all’asilo e alla mobilità.
La militarizzazione del discorso pubblico attorno alla migrazione e all’accoglienza, le politiche restrittive e le misure repressive varate con gli ultimi decreti, aprono una nuova stagione di compressione dei diritti, di immotivate limitazioni delle libertà, nonché di ulteriori ostacoli all’accesso ai servizi e all’esercizio dei propri diritti per coloro che arrivano nel nostro Paese in cerca di protezione e futuro.
Ci troviamo costretti, a rispondere a slogan dai toni sempre più aggressivi e propagandistici nonché a chiederci, con non poca preoccupazione, fino a dove si estenderanno le nuove frontiere di trattamento riservate oggi alle persone in migrazione e quanto queste impatteranno in un vicino futuro anche sulla vita dei cittadini e delle cittadine.
1. “Emergenza migranti”
La parola “emergenza” è sempre più spesso utilizzata per descrivere la situazione migratoria nel nostro paese. Tuttavia, è importante notare che un’emergenza è, per definizione, un momento critico che richiede un intervento immediato, una condizione temporanea delle cose.
Si nomina l’emergenza sbarchi almeno dalla conclusione dell’intervento militare internazionale in Libia (2011), se non addirittura dallo sbarco della nave albanese Vlora dell’8 agosto 1991.
Com’è possibile che dopo trent’anni venga ancora invocata l’“emergenza sbarchi”?
L’uso di questo termine relega il fenomeno migratorio ad una condizione straordinaria, di cui gli sbarchi sono peraltro un aspetto minore. È sempre più evidente che la migrazione si sia affermata come un fenomeno costante del nostro tempo, con cui confrontarsi in modo consapevole, strutturato ed organizzato. Specialmente se si vuole perseguire l’obiettivo minimo della tutela dell’incolumità delle persone, dei diritti e delle libertà.
I dati diffusi alla fine del 2022 dalla Commissione europea, relativi alle domande di asilo presentate nei vari paesi d’Europa in rapporto alla popolazione, dicono che l’Italia, non solo non è particolarmente esposta, ma è persino al di sotto della media europea.
La parola “emergenza” stravolge la nostra percezione del fenomeno: lo stesso governo che inneggia all’emergenza avrebbe deciso di aprire flussi in ingresso per 450.000 persone nei prossimi tre anni; mentre la maggior parte del milione di persone arrivate via mare negli ultimi 10 anni si è trasferita da tempo in altri paesi d’Europa.
2. “Non possiamo accoglierli tutti”
La pianificazione strategica di un’accoglienza realmente integrata su tutto il territorio italiano, e che tenga conto della diversità dei singoli contesti e dell’evoluzione delle necessità nel tempo, è compito di chi governa.
Prendiamo i numeri italiani guardando i dati ufficiali di Istat e del Ministero degli Interni relativi al 2023: cosa avverrebbe se ognuno dei Comuni italiani si attivasse per accogliere e redistribuire sul proprio territorio una minima quota dei (ad oggi) 133.171 arrivi?
I comuni italiani sono 7901, sul cui territorio abita una popolazione di quasi 59 milioni di persone.
Eppure, prendendo come esempio il territorio della provincia di Brescia (un’area ampiamente predisposta all’accoglienza), meno di 1 comune su 5 si rende disponibile ad accogliere. In totale sono circa 40 i comuni bresciani che aderiscono alla rete SAI sui 205 di tutta la provincia.
Tuttavia, ciò non avviene perché non vi è un vincolo per i Comuni italiani ad accogliere in modo sistematico, pianificato, organizzato ed integrato.
La possibilità di attuare in modo efficace ed efficiente la programmazione esiste e si chiama Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI).
Il SAI fa capo al Ministero degli Interni ed è fautore di un’accoglienza emancipante per chi la riceve, perché i suoi obiettivi mirano all’autonomia della persona entro un lasso di tempo ragionevole.
Il SAI è uno strumento affermato da ormai vent’anni ma, anziché venire esteso a modello unico nazionale, è ancora riservato a pochi. Perché?
3. “Invasione”
Il ricorso al linguaggio militarizzato ed i riferimenti ad una guerra all’immigrazione irregolare sollevano domande importanti: un’“invasione finanziata” da altri paesi europei, “un atto di guerra” che comporta la “difesa dei confini”.
Dobbiamo chiederci da dove proviene la percezione di una minaccia derivante da persone che giungono in Italia disarmate, stremate ma anche cariche di speranza per il proprio futuro. Le immagini dei naufragi nel Mediterraneo, delle condizioni degli sbarchi a Lampedusa e delle persone in arrivo dalla Rotta Balcanica sono eloquenti: siamo forse di fronte ad invasori armati?
Dobbiamo poi chiederci perché alcuni arrivi vengano visti in modo meno emergenziale rispetto ad altri, che sono invece costantemente stigmatizzati.
L’esempio dell’Ucraina è eloquente: nei soli 60 giorni successivi all’effettiva invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 sono giunti in Italia più di 120.000 persone, un numero che si avvicina al totale degli sbarchi avvenuti dal 1 gennaio 2023 ad oggi.
Nessuno allora si è riferito a quella concreta emergenza, a quell’afflusso improvviso di persone, nei termini di un’invasione, nessuno ha messo in dubbio la mobilitazione di risorse per sostenere quelle persone, nessuno ha immaginato di poterle lasciare senza tutele.
Dunque, la chiusura ferrea verso chi arriva dal c.d. “Sud del mondo” (Paesi in guerra compresi) collide con l’accoglienza disinteressata verso le persone ucraine; così come le motivazioni “belliche” della lotta agli scafisti e della strenua difesa dei confini cozzano con l’impraticabilità, per i migranti forzati, di sistemi di trasporto legali.
Perché?
4. “Rimpatriamoli e fermiamo le partenze nei paesi d’origine”
Le soluzioni semplificate spesso non affrontano i problemi in modo adeguato ed efficace.
I numeri hanno dimostrato un fallimento del sistema dei rimpatri, che sono stati solo 3275 in tutto il 2022. La promessa di 60000 espulsioni dell’ex Ministro degli Interni Matteo Salvini si sgonfiò nei successivi dodici mesi di fronte alla praticabilità di sole 6000, l’1%.
Le espulsioni e i rimpatri si sono dimostrati inadeguati a causa dell’inefficacia o dell’assenza di accordi bilaterali con i paesi d’origine.
Accordi di riammissione che, anche se venissero siglati, andrebbero a colpire quello Stato di diritto per il quale abbiamo duramente lottato per generazioni. Infatti, rimpatriare le persone nei Paesi di provenienza significa spesso restituirle a sistemi in cui i diritti umani e la dignità della persona non vengono (o non vogliono essere) tenuti in minima considerazione.
La gestione dei flussi migratori deve iniziare a monte attraverso:
– la cooperazione con i paesi di partenza con importanti sforzi diplomatici e investimenti;
– la comprensione dei processi storici, degli squilibri economici, dei conflitti e delle crisi climatiche e politiche che stanno alla base delle migrazioni contemporanee;
– strategie a lungo termine e di normalizzazione dei processi migratori attraverso una maggiore facilitazione nell’ottenimento dei visti;
Le partenze devono essere consentite e devono avvenire in una forma legale e programmata e devono essere garantiti canali sicuri per coloro che fuggono chiedendo protezione. Solo così si può porre un limite al traffico degli esseri umani e promuovere una logica di integrazione positiva e non di respingimento o blocco delle partenze.
5. “Cinquemila euro per uscire dai Centri di Permanenza per i rimpatri”
Ogni persona dovrebbe essere riconosciuta come essere umano e, in quanto tale, con una dignità intrinseca. Il valore della persona e la libertà di movimento hanno un corrispettivo in denaro?
Per mezzo del nuovo decreto si propone ai migranti la possibilità di versare cinquemila euro per poter attendere l’esito delle procedure accelerate al di fuori dei CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri), mercificando il valore della libertà della persona, contrattando la dignità umana con una condizione di favore dal forte sapore classista.
Nell’ultimo report del giugno 2023, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale sottolinea che all’interno dei CPR il quadro delle garanzie costituzionali è insufficiente e rischia di lasciare ampi spazi di discrezionalità, la tutela sanitaria è affetta da una cronica carenza e che “statisticamente solo il 50% delle persone che transitano nei Cpr vengono effettivamente rimpatriate e quindi il sacrificio della loro libertà si risolve con un nulla di fatto. Tale circostanza non può più essere tollerata […]”.
Si richiede una somma di denaro in cambio della detenzione amministrativa creata appositamente per alcune categorie di migranti forzati: una sorta di “tangente di Stato” proposta verosimilmente a chi già si trova in condizioni di debito verso i cosiddetti trafficanti in un sistema di tratta degli esseri umani.
Persone, non merce!
6. “Espellere i falsi minorenni”
Nelle scorse ore, alcune proposte del governo sui minori hanno destato forti preoccupazioni.
La bozza del Decreto, a partire dal presupposto di espellere falsi minorenni, contiene indicazioni sull’inserimento dei minori all’interno di centri di accoglienza destinati agli adulti (con tutte le criticità che ciò comporterebbe in termini di promiscuità), ed un maggiore accanimento nell’accertamento della loro età.
La Garante dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, sulla base dell’esistenza di un ragionevole margine di errore negli accertamenti, chiede invece di rispettare il principio di presunzione di minore età all’arrivo.
Il Tavolo Asilo Nazionale e la stessa Garante hanno espresso inoltre preoccupazione per il rischio che i minori vengano spinti dalle reti del traffico di esseri umani, a dichiararsi maggiorenni per sfuggire ai controlli, con un rischio aggravato per le giovani donne, più facilmente vittime dello sfruttamento a carattere sessuale.
In conclusione
Indipendentemente dagli slogan e dai proclami che in modo sempre più chiaro riecheggiano nelle campagne comunicative dei vari governi che si susseguono negli anni, l’Associazione ADL a Zavidovici vuole rimarcare l’inalienabilità dei diritti umani, tra i quali il diritto d’asilo, sancito in modo solenne dalla Convenzione di Ginevra e dalla nostra Costituzione, definiti in modo collettivo sulla consapevolezza dell’ecatombe e delle nefandezze della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi sappiamo che le violazioni dei diritti si producono, non solo sulle vie – costellate di percosse – della Balkan Route o nelle profonde acque naufraghe del Mar Mediterraneo, ma persino sul territorio del nostro paese nei luoghi di concentramento dei migranti forzati: in frontiera, nei centri governativi di prima accoglienza, all’interno di Centri d’Accoglienza Straordinaria e nei CPR.
Luoghi paralleli e sistemi giuridici costruiti ad hoc, nei quali le violazioni dei diritti e delle libertà si concretizzano in modo surrettizio, attraverso i respingimenti, la segregazione dell’accesso ai servizi all’accoglienza e i rimpatri indiscriminati, e si sperimentano in prima battuta sui corpi delle persone costrette a migrare.