Rivolti ai Balcani in viaggio

 
Venerdì 3 marzo la delegazione di Rivolti ai Balcani ha lasciato Belgrado dopo aver incontrato l’associazione Ideas che si occupa soprattutto di supporto legale, monitoraggio e denuncia verso le non sporadiche violazioni dei diritti umani subite dai transitanti da parte delle varie polizie di frontiera.

 

Verso metà mattina siamo arrivati a Subotica, la caratteristica cittadina capitale della Vojvodina. Un luogo a due passi dal confine ungherese e che di quella terra e della sua cultura ne è profondamente contaminata.

La giornata è stata caratterizzata da incontri con le realtà che in questa regione della Serbia del Nord operano incessantemente lungo la frontiera e nei vari squat, insediamenti informali, per alleviare, almeno in parte, le condizioni di grande indigenza, insicurezza e precarietà delle persone in movimento.

Humanitarni Centar za Integraciju i toleranciju, Collective AID, No nameName Kitchen non sono solo sigle, ma organizzazioni fatte di persone motivate, formate e quotidianamente impegnate sul campo con la voglia di raccontarsi, di fare informazione e denunciare quanto accade in questa area e di come stare al fianco dei transitanti, uomini, donne e bambini e bambine, in cerca di un luogo sicuro dove riprogettare il proprio futuro in Europa.

Un impegno per nulla facile né scontato, carico di fatiche emotive, accompagnato da momenti di frustrazione e stanchezza, ma anche di grande senso umanitario che in queste zone non si ferma davanti al filo spinato col quale gli stati europei credono di poter bloccare il bisogno di salvezza.

È sera, ci si prepara per una nuova partenza alla volta di Zagabria.

Sabato siamo stati a Zagabria, nella capitale delle Croazia le cui istituzioni sono da diversi anni sotto osservazione e sono state condannate per le violenze ripetute della sua polizia nei confronti dei transitanti.

 
Le testimonianze raccolte con grande scrupolo documentale e i diversi video registrati dalle persone in movimento hanno costituito un dossier, che non lascia via di scampo ai responsabili di queste violenze sistematiche. Le due organizzazioni incontrate sono il Centar za mirovne studije e l’associazione Are you Syrious?, entrambe impegnate a più livelli nel supporto diretto alle persone che attraversano le frontiere, superando gli stretti controlli che le varie polizie operano a ridosso e oltre il confine.
 
Molte volte parliamo della rotta balcanica, ma sarebbe più opportuno scegliere il plurale: le rotte. Se ne aprono diverse in continuazione ed ognuna ha la propria quota di pericolo, che sia il gelo delle montagne o quello delle fredde acque dei fiumi, come quelle della Sava.
 
L’abbiamo già scritto, ma ci teniamo a ripeterlo: anche in questi incontri registriamo un impegno incessante dei volontari e delle volontarie e del personale di staff nel fare bene e puntualmente il proprio operato. “It’s a way of life”, è un modo di vivere la propria vita che va raccontato. è un modo per non cedere all’indifferenza davanti al pianto di un bambino, o alle ferite profonde di coloro che ritornano dall’ennesimo tentativo del Game.
 
Domenica: da Zagabria a Rijeka è tutta autostrada. Il paesaggio è innevato fino a pochi chilometri dalla città, dove finalmente vediamo il mare illuminato da un tiepido sole di fine inverno. Rijeka è da qualche mese diventata uno snodo importante per una delle tante vie della rotta balcanica. I transitanti arrivano alla stazione ferroviaria, dopo un lungo cammino e diversi tentativi di oltrepassare i confini. Manca poco per entrare in quella Europa tanto sognata.
Molti hanno un permesso di transito valido sette giorni: poco tempo a disposizione per uscire dalla Croazia e tentare l’ultimo tratto -quello sloveno- prima di arrivare finalmente a Trieste. Sembra fatta. In realtà, una volta attraversata la Slovenia, potrebbero incontrare le autorità italiane pronte ad attuare i respingimenti: una procedura rispolverata dal ministro Matteo Piantedosi denominata ufficialmente “riammissioni informali”.
 
Alla stazione incontriamo i volontari della Caritas. Due container e una tenda è tutto quello che hanno a disposizione per accogliere, medicare, rifocillare le persone in movimento. In questi giorni il passaggio è abbastanza gestibile, mentre nei mesi precedenti in centinaia chiedevano aiuto ed erano costretti a dormire sotto i vagoni abbandonati lungo i binari.
 
Grazie all’arcivescovado e al supporto della municipalità riescono a presidiare questo luogo, ma ci vorrebbe molto di più: più volontari, più medicine, più vestiti e cibo, meno pressione da parte della polizia che incessantemente pattuglia la zona.
 
Nel pomeriggio incontriamo la referente dell’associazione Per un Mondo migliore. Uno scambio molto emozionante, caratterizzato da un racconto intenso, fatto di narrazioni di storie raccolte negli squat e non solo. Relazioni iniziate sul campo e mantenute anche nei luoghi di approdo. Da lei apprendiamo il grande valore di amicizie cangianti, che caratterizzano un mondo considerato minore, fatto di relazioni autentiche e quindi sicuramente migliore di quello che li ha abbandonati e maltrattati nel momento del bisogno estremo.